gigi spina pCaro Enzo, come promesso, lessi: la tua parte e poi la bellissima raccolta di immagini; gli altri testi, i pezzi di storia, li leggerò con calma. Il tuo pezzo è notevole, per documentazione e chiarezza. Mi hanno colpito, non sapevo nulla di nulla, la novità del processo di essicazione che ha portato all'avanguardia la nostra Pasta, e, quasi per contrappasso, la velocità della modernizzazione che ha messo in crisi le produzioni eccellenti (fenomeni che come vediamo si ripetono anche a mutate condizioni). Mentre mi chiedevo che fine avessero fatto le Sirene, o Partenope, ecco che ho trovato un'unica etichetta con la pasta Sirena. Conoscevo bene la pasta Vicidomini perché un mio amico salernitano, che vive da anni a Roma, faceva il pieno della macchina con i vari tipi di pasta quando veniva a Salerno, e qualche volta gliel'ho presa anche io.
Quanto a me, sono in linea perché dopo un periodo di De Cecco ormai da anni compro la pasta di Gragnano imbustata dalla Coop. Peccato non aver fatto il dibattito previsto, perché il tuo libro è stato abbastanza all'avanguardia, sia come messa a punto del problema sia come ricchezza di documentazione e inquadramento storico. Insomma, una bella impresa che ti fa onore.
Volevo anche dire che sono bellissime tutte le foto, una documentazione davvero fantastica, fra le quali spiccano quelle che spiegano perché gli spaghetti di Miseria e nobiltà mangiate con le mani sono assoluta tradizione.

g nappi pÈ davvero prezioso il lavoro che Vincenzo Esposito, colto e appassionato dirigente sindacale per lunghi anni, ha dedicato alla Pasta e alle sue relazioni con Napoli.
In un solo volume sono raccolti interventi, articoli, stralci di ricerche di storici, letterati, economisti, giornalisti, polemisti che si snodano lungo l’arco di tempo tra XIX e XXI secolo: un Secolo lungo, potremmo dire. E testi che aiutano a comporre una visione d'insieme di straordinario valore ed interesse. In questo senso il lavoro antologico curato dall'autore rappresenta davvero un unicum.
Il tutto, introdotto da un saggio dell’autore che ripercorre in modo unitario le vicende che hanno condotto, potremmo dire con Emilio Sereni, Napoli a diventare capitale della pasta e i Napoletani a passare da Mangiafoglie a Mangiamaccheroni, in una riflessione che è anche una ricostruzione della dimensione sociale, di lavoro, tecnologica e produttiva dell'epopea della pasta, che ha avuto i suoi epicentri, i suoi apici e le sue crisi.
Metafora di tutto questo Torre Annunziata. Non a caso Vincenzo Esposito dedica il suo lavoro alla memoria di Maria Natale Orsini e al suo “Francesca e Nunziata” che ha fatto rivivere in modo magistrale una vera storia sociale legata alla pasta.
Dai testi emerge infatti anche, al di fuori e al di sopra – potremmo dire – di ogni visione oleografica, tutto il portato di conflitto del lavoro, legato alle produzioni agroalimentari di fine XIX come del XX secolo: gli scioperi e le lotte per il salario, per migliori condizioni di lavoro, contro l’abuso del lavoro minorile.
La Pasta rappresenta così un mondo ed Esposito ce lo restituisce anche con il concorso di un apparato iconografico molto bello e ricco: luoghi di lavoro e lavoratori, etichette dalla pasta, formati... Una antologia nell'antologia che rende il volume ancor più prezioso.

Gianfranco Nappi

Infiniti mondianno II, n. 4, gennaio-febbraio 2018.

r bruno pNel suo ponderoso e meritorio volume, Vincenzo Esposito ricostruisce storia ed evoluzioni di un’industria pastaia (quella del sud Italia, principalmente, ma non solo) che è quasi (sottolineiamo quasi) del tutto scomparsa, corredando la sua trattazione con una doviziosa iconografia, grazie alla quale è possibile orientarsi in un complesso e ricco labirinto di nomi ed etichette che oramai appartengono al passato.
Esposito ha sicuramente tenuto presente, per questo suo volume, il ‘formato’ dell’antologia, da cui è partito, per approdare ad altro: compulsando e selezionando una cospicua quantità di materiali (scritti letterari, articoli, leggende) ha rimesso in fila tutte le ‘storie’ della pasta (dei ‘maccaroni’, sarebbe più corretto dire) per ricostruire una storia; storia intesa sia come Storia (ovverosia cronaca minuziosa dalle origini) che storia (con la minuscola) ovverosia una narrazione che segue un filo logico, che ricostruisce un senso. E, alla fine, ne è uscito un volume che sta tra l’antologia, la panoramica storica e il romanzo vero e proprio. 
Con piglio vivace e mai banale, Vincenzo Esposito racconta dei maccaronari, delle antiche origini dei maccaroni: per esempio, ignoravo totalmente che gli antenati della pasta fossero da ricercare nelle antichissime ‘lagane’ greche…
Ero fermo alla versione secondo la quale fossero stati i Cinesi, nella lontana antichità, a inventare la pasta e infatti Esposito nel suo libro muove anche delle interessanti osservazioni, considerazioni storiche per ‘ridimensionare’ questo mito.
Esposito segue l’evoluzione della pasta e ricostruisce una storia - artigiana prima e industriale poi - di operai, di territori e terre, di storie e leggende, di una intera civiltà quasi perduta e in cerca di un’identità precisa nell’epoca della globalizzazione. Il libro di Esposito narra una storia e una cultura da approfondire e non dimenticare.  
Un libro tutto da ‘gustare’, insomma!

[Recensione su “Napoli Area Nord”]

trecc p

La recensione di Pietro Treccagnoli, l’Arcinapoletano, a La civiltà della pasta

La pasta è un alimento, un’industria e una civiltà. Ma è anche letteratura, musa ispiratrice e non solo per sazietà. Napoli e la sua provincia sono tra le capitali, se non la capitale dei maccheroni, o per dirla con più schiettezza e appropriatezza dei maccaroni. Parola che ha più sapore. La pasta, in tutti i suoi formati, ha una storia millenaria alla quale Vincenzo Esposito, ricercatore, sindacalista e grande cultore della materia masticabile, ha voluto dedicare una rassegna che ha tutte le carte in regola per diventare il primo mattone per un monumento da erigere al piatto, al primo piatto, che con la pizza tiene alta la bandiera della gastronomia meridionale e ha conquistato gran parte del mondo. “La civiltà della pasta” (questo è il titolo del volume edito da Dante & Descartes, pagg. 306, € 22) è un’ampia ricostruzione, a più voci e ben cucinata, del cibo più plasmabile della tavola occidentale, che sembra maritarsi al meglio con tutto quando fa cultura alimentare.

pagano pFondamentale introduzione alla “civiltà della pasta” con un'antologia di testi perduti e ritrovati, già editi – non c'è niente di più inedito del già edito – cercati, scovati dall'autore Vincenzo Esposito; con la sapida Prefazione di Claudio Novelli e la scientifica Postfazione di Giuseppe Zollo; uniti a un corredo iconografico, mai visto prima – degno di una popolare Wunderkammer – proveniente dalla ricerca dell’autore e dalla notevole raccolta di Giovanni Lembo...  Da leggere e vedere.
Ho sfogliato ma con attenzione, mi è stato regalato ieri, il libro del mio vecchio amico di lotta degli anni Settanta Vincenzo Esposito su La civiltà della pasta. La prima cosa che mi viene in mente è il libro Francesca e Nunziata.
Un romanzo su una famiglia di pastai alle falde del Vesuvio.
I due libri hanno in comune l’amore per la pasta. Allo stesso modo hanno attratto la mia curiosità in quanto divoratore di primi piatti.
Il libro del mio amico è un libro di storia. Potrebbe essere anche un libro sull’alimentazione nella storia. 
Giorgio Pagano

zollo pLa recensione di Giuseppe Zollo su il Napolista del libro di Vincenzo Esposito che analizza e racconta la storia del nostro territorio in relazione a uno dei suoi simboli culinari.

Privo di ricette

Taganrog, Wilhelmina Tarwe, Akakomugi, Squarehead non sono eroi di Salgari, compagni o avversari di Sandokan. Sono varietà di grano duro. Nei nomi esotici risuona l’eco della loro lontana origine. È la prima scoperta che si fa sfogliando il libro “La civiltà della pasta” di Vincenzo Esposito, pubblicato dalla napoletana Libreria Dante & Descartes qualche mese fa.
Avvertenza: il libro di Esposito è rigorosamente privo di ricette. L’ambizione del libro è un’altra ed è dichiarata nel titolo. Dove il termine aulico di Civiltà viene associato con quello umile di Pasta. I due termini stridono. È come un barbone invitato a presentare i propri abiti in una sfilata di moda. Eppure è un accostamento importante. Se vogliamo comprendere l’identità di un territorio, la sua civiltà, non possiamo fermarci a considerare solo le sue espressioni artistiche, la sua letteratura, la storia politica e militare. Dobbiamo scendere nella quotidianità. Dobbiamo capire cosa fanno le persone, come occupano il tempo, di cosa discutono.