STENOGRAFIC pAl XVII Congresso nazionale del Partito Socialista a Livorno, votarono 172.487 delegati con 981 astenuti, la mozione dei comunisti unitari ebbe 98.028 voti pari al 56,8%; la mozione dei comunisti puri 58.783 voti, il 34% della platea congressuale; la mozione concentrazionista 14.695, appena l’8,5% dei votanti; complessivamente l’adesione alla Terza internazionale fu votata dal 92,8% dell’assise1. La rottura tra i comunisti unitari di Serrati e i puri di Bordiga e il Cominform avvenne sulla richiesta categorica di espellere Turati e i riformisti dal Partito e di cambiargli il nome. Serrati difese l’autonomia decisionale del Partito e rifiutò il diktat del Cominform che vincolava l’adesione alla Internazionale all’accettazione delle due condizioni non negoziabili.
La rappresentazione postuma della scissione come l’errore di una parte – Bordiga e gli astensionisti – che diede vita al Pci e la giustezza di un’altra non trova riscontro nei numeri, i riformisti erano una esigua minoranza, l’insieme della sinistra sposò la causa del bolscevismo convinta che il compito primario del socialismo fosse l’affermazione dell’uguaglianza, la libertà sarebbe venuta successivamente per processo naturale dell’evoluzione della società. Sia i massimalisti, rimasti nel Psi, che i comunisti, usciti, condividevano una analisi della situazione italiana come pronta al salto rivoluzionario e la grave sottovalutazione del pericolo del fascismo alle porte, visto come una semplice reazione della borghesia all’inarrestabile marcia del socialismo2. L’unica voce dissonante, insieme a Filippo Turati, fu quella di Giacomo Matteotti che, assente al Congresso perché impegnato a difendere la Camera del Lavoro di Ferrara dall’attacco degli squadristi fascisti, inviò un telegramma ai delegati per sensibilizzarli sul pericolo fascista. «E anche quando, nell’ottobre del 1921, si svolge a Milano il nuovo congresso nazionale socialista, si ripete la cecità di Livorno sull’offensiva fascista, e Matteotti interviene a nome di tutti i militanti cui le violenze squadriste e il disgusto per le dispute di corrente hanno impedito di essere presenti. “È indispensabile uscire dall’equivoco inerte del massimalismo e concentrare le energie sul problema vitale di come fronteggiare il fascismo senza precludersi l’uso di tutti i mezzi disponibili, da quelli legalitari e parlamentari sino a quelli volti a rispondere con la violenza alla violenza e alla illegalità.”

 

Trasformerebbe e arricchirebbe il territorio, gli uffici della Città Metropolitana no. Seguiamo la direzione tracciata da Renzo Piano (e da Parigi e Berlino).

scampia vela p

Le periferie sono la città del futuro, non fotogeniche d’accordo, anzi spesso un deserto o un dormitorio, ma ricche di umanità e quindi il destino delle città sono le periferie.[…]
Bisogna che le periferie diventino città ma senza ampliarsi a macchia d’olio, bisogna cucirle e fertilizzarle con delle strutture pubbliche.[…]
portare in periferia un mix di funzioni. La città giusta è quella in cui si dorme, si lavora, si studia, ci si diverte, si fa la spesa.
Se si devono costruire nuovi ospedali, meglio farli in periferia, e così per le sale da concerto, i teatri, i musei o le università.
Andiamo a fecondare con funzioni catalizzanti questo grande deserto affettivo. Costruire dei luoghi per la gente, dei punti d’incontro, dove si condividono i valori, dove si celebra un rito che si chiama urbanità.

Renzo Piano, Il rammendo delle periferie, Domenicale del Sole 24 ore, 26 gennaio 2014

Il giudice che ha scritto la sentenza della “bravata” pubblicò un libro illuminante sul sottobosco romano di destra, ultras e droga che aiuta a capire quello che è successo

de santis p

Kowalski-Callaghan

Sull’omicidio di Ciro Esposito, Clint Eastwood-Walt Kowalski ha torto. Ha invece ragione Clint Eastwood-Harry Callaghan, la Giustizia non si incontra con la legge

L’ispettore Harry Callaghan è il “duro” per eccellenza che combatte la criminalità al di fuori della Legge con metodi spesso poco ortodossi e per questo è soprannominato “Harry la carogna”.

Il funerale di Pietro Savastano alla Vela gialla: Gomorra è fiction, il degrado è reale


Si è affermata una narrazione tossica di Napoli, si procede per sterili contrapposizioni (Saviano versus de Magistris). La realtà più complessa, lo si capisce anche facendo la comparsa.

Il cinema per Sergio Leone

savastano

Il grande Sergio Leone sosteneva che un film per essere un bel film dovesse avere un inizio, uno svolgimento e una fine, poi se riusciva anche a veicolare un messaggio positivo era tutto valore aggiunto.
Fedele all’insegnamento del Maestro, trovo stucchevole questa eredità del Novecento che porta molte persone a confondere verosimile con vero e le pone alla continua ricerca del Nemico anche nella visione di un film o di una fiction.
Chi è il nemico? Quello che non rientra nei propri canoni – spesso semplici – interpretativi della realtà.
Poi, per restare pienamente nel Novecento, il popolo della rete, ma non solo quello, ha bisogno di reiterare continuamente la dicotomia che è stata alla base di tutte le tragedie del secolo breve, quella amico/nemico e quindi, per il popolo non solo va individuato con chiarezza il nemico di turno, ma va anche contrapposto all’amico di turno svelando in questo modo un’altra sciagura del Novecento: la necessità di riconoscersi in un leader a cui si perdona acriticamente tutto e l’dea che una parte sia il tutto.
Queste insieme di sciagure poi si coniugano con una distorta visione della napoletanità che oscilla da un vittimismo acritico alla esaltazione, acritica anch’essa, dell’armonia del presente.