La cultura urbanistica di questi ultimi anni ha prefigurato un' area metropolitana con precisi confini e sulla base di ciò si sono poi attuate alcune scelte politiche conseguenti.
Un esempio su tutti. Proprio rispetto alla configurazione territoriale, che gli urbanisti proponevano, fu deciso di arretrare i caselli autostradali di Napoli dell’autostrada A2 dalla zona di Capodichino a, rispettivamente, Caserta Sud e Pomigliano con la conseguente proposta di rinominarli Napoli Nord e Napoli Est, e di rendere gratuita la percorrenza fino ai vecchi caselli trasformando, di fatto, quei tratti in una ideale prosecuzione della “Tangenziale” di Napoli. In realtà poi si è giunti ad un compromesso, tipicamente politico, di arretrare sì i caselli, con la conseguente decongestione dei flussi di traffico a Capodichino, ma di conservare il pedaggio “escamotage” utile a non aprire complessi rapporti sul ruolo da affidare al territorio con le inevitabili ricadute anche di tipo politico. È pressocchè inevitabile che queste scelte si trasformino, infatti, in scontri di potere che certo non gio- verebbero ai delicati equilibri politici nella logica delle spartizioni e del governo clientelare del territorio.

Ma torniamo ai confini “suggeriti” sulla base di omogeneità territoriali e sociali definiti dagli urbanisti: essi definiscono un’area comprendente a Nord Ovest Cuma e Aversa, a Nord Caserta, a Nord Est Pomigliano e Nola, a Est Sud Est tutta la costa fino a Salerno. Nell’area si sono via via proposte varie direttrici di sviluppo, reca-pero, qualificazione e riqualificazione abbinandole a vari tipi di settori: industriali, residenziali, ecologici, commerciali, turistici, archeologici, ecc. Di volta in volta adattando, modificando e, in alcuni casi, strumentalizzando i cosiddetti “standard”. Perfino il Governo ha cercato di identificare, sull’ onda della polemica discussione urbanista, le “aree metropolitane" nel paese e, in un Disegno di Legge (mai convertito) ne identificò cinque : Milano, Torino, Genova, Roma e Napoli. Successivamente, intorno agli anni 82-83, venne fuori addirittura una proposta che superava, nel complesso, tutta la discussione: la “megalopoli lineare”, complesso ed articolato progetto che accorpava le città di Milano e Torino in un continuum urbano: MI.TO. Questa proposta è formulata e voluta dagli imprenditori locali che vogliono, in questo modo, contrastare il progressivo accentramento di direzionalità che si va sviluppando nella capitale. Se ne discusse per molto, anche per merito di certa stampa in qualche modo direttamente o indirettamente manovrata. A Francesco Compagna bisogna riconoscere il merito di avere, provocatoriamente, restituito la “megalopoli" all’ utopia urbanistica, semplicemente riproponendo questa scelta in una scala di equilibrio nazionale con le megalopoli di RO.NA., Roma-Napoli, per evitare a quest’ultima di restare inesorabilmente esclusa e schiacciata dalle conseguenze sociali, politiche e economiche, e, per identiche ragioni RE.ME, Reggio di Calabria-Messina, come recupero dell’area regionale del Mezzogiorno. Non se ne fece più niente.
Dal MITO la discussione è tornata, per nostra buona pace, alla realtà.

[ pubblicato in Giovanni De Falco, Vincenzo Esposito, a cura di, Sindacato e area metropolitana, Meta Edizioni, Roma, 1991. ]

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