enne2 pL’elemento dominante del contesto metropolitano dell’area napoletana è una densità abitativa elevatissima in città e in numerosi comuni della provincia.
Possiamo considerare questo dato già un eccellente indicatore sintetico che riassume una serie di fattori ambientali e socio economici che interagiscono strettamente tra loro: caratteristiche fisico ambientali, risorse economiche e produttive, opportunità occupazionali, livello delle infrastrutture, ecc.

Prende avvio proprio dall’indagine demografica una ricerca che risponde ad un duplice obiettivo, il primo legato ad una progressiva domanda di informazione che tenesse conto di nuovi campi d’indagine anche a livello di piccoli aggregati territoriali, il secondo che i dati fossero orientati verso le esigenze dei potenziali utilizzatori e, dunque, dati non neutri con una rilevazione ed elaborazione su misura.
La nostra ricerca fornisce un rilevante indicatore della complessità dell’area.
Area che con i suoi 3.500.000 abitanti rappresenta il 6% dell’intera popolazione nazionale con una densità abitativa elevatissima: la più alta d’Europa, tra le prime nel mondo.
In alcune sue parti territoriali assume caratteri drammatici superando anche i quarantacinquemi- la abitanti per Kmq.
La congestione di Napoli, della sua area metropolitana, è assai differente da quelle riscontrabili nelle altre aree metropolitane europee. È una densità fisica molto alta cui corrisponde una densità sociale molto bassa: si veda, per esempio, il preoccupante rapporto esistente tra popolazione attiva e non attiva!
Ma Napoli ha un grande problema da risolvere: trasformare l’essenza storica del suo essere capitale passiva e assistita divenendo il cuore propulsivo di un cambiamento che non riguarda solo se stessa e la sua area metropolitana o regionale ma l’intero mezzogiorno ed il bacino mediterraneo.
E così, la prima domanda a cui rispondere è questa: è possibile che una tale trasformazione possa condursi con un elemento urbano catalizzatore, monocentrico, congestionante così come è oggi la nostra area o bisogna, piuttosto, lavorare perché partendo dalle potenzialità relative dell’area si raggiunga quel grado di decentramento e sviluppo multipolare possibile?
Ecco perché abbiamo deciso di lavorare su queste ipotesi partendo dall’area metropolitana, individuando al suo interno zone omogenee e direttrici di sviluppo (vedi tavola) capaci di una differente organizzazione spaziale che trovi la sua risoluzione nell’ambito dei rapporti tra struttura ed infrastruttura urbana.

enne pOggi questa nostra ipotesi appare più reale alla luce degli indirizzi della legge 142/90 sulla riforma delle Autonomie Locali che istituisce le aree metropolitane e individua un nuovo assetto amministrativo unico per l’intera area.Nel rapporto tra struttura e infrastruttura urbana gioca un ruolo determinante la possibilità reale di mobilità sul territorio.Questo è un fenomeno del tutto inedito per Napoli e sul quale si registrano gravi ritardi sia tecnici che amministrativi. Pensiamo, ad esempio, all’irrisolto problema del decongestionamento ferroviario nell’area urbana – lo spostamento cioè della stazione ferroviaria e la sua trasformazione da stazione di testa a stazione di transito – o alla realizzazione della linea ad alta velocità.
Le scelte operate sul territorio sono certamente criticabili, pensiamo alla realizzazione della Linea Tramviaria Rapida che si costruisce iniziando dall’ultimo tratto – urbano – anziché da quello principale di collegamento tra centro e periferia; riproponendo un vecchio problema, per altro già individuato, di sovrapposizione a mò di doppione alle tratte ferroviarie metropolitane.
Esistono condizioni alternative capaci di restituire al cittadino la dimensione, la scala umana, la fruibilità della metropoli oggi negate dall’attuale caos metropolitano?
Certo, sarebbe possibile se solo si riuscisse a limitare l’uso, o meglio l’abuso, dell’automobile.
Ogni giorno Napoli sopporta nelle sue anguste vie circa settecentomila auto, una mobilità fissa giornaliera che vede circa novecentomila persone muoversi.
Così la questione dell’allocazione dei parcheggi, per lo più individuati nel cuore urbano di Napoli anziché a raso così come più volte suggerito da varie parti, provocherebbero ulteriori congestioni e maggiore invivibilità del luogo urbano.
Tutto ciò perché, appunto, le , scelte di localizzazione di servizi ed infrastrutture seguono ancora il ragionamento della polarizzazione metropolitana, intesa non come distribuzione dei pesi sul territorio ma come accentramento di questi in una parte della città.
È il vecchio riproporsi dell’idea di capitale.
La nostra ipotesi è quella di individuare delle specializzazioni territoriali che qualifichino il luogo urbano e che insieme alla disponibilità di servizi fondamentali distribuiti sul territorio possano partecipare al decongestionamento del Centro abbattendo la cosiddetta mobilità inutile.
Oggi si pone la questione di rivisitare tutta la politica di piano, rifare, cioè, il Piano Regolatore Generale tenendo conto del gravissimo ritardo che esiste nella pianificazione. Ricordiamo infatti che la Regione Campania è l’unica regione sprovvista ad oggi di un proprio Piano di Assetto Territoriale.
Sarebbe incredibile pianificare l’area metropolitana non tenendo conto degli indirizzi regionali e, oltremodo, sarebbe assai pericoloso ribaltare sulla regione indirizzi individuati a scala metropolitana.
Intanto prende corpo un grande dibattito sulla necessità di rivedere completamente il Piano Regolatore Generale del 1972 contemporaneamente vengono spinte per procedere per varianti, per piani e per progetti. I costruttori sono favorevoli alla politica dell’emergenza perché con procedure abbreviate si arriva al riciclo immediato dei finanziamenti.
Noi insistiamo perché si ritorni a una politica di piano cioè ad un ripensamento globale del vecchio piano e non al suo adattamento alle esigenze dei vari gruppi di pressione. Nel frattempo si parla anche di reindustrializzazione, di riconversione industriale, alcuni sostengono che non si può perdere questo treno e così si spinge perché si facciano progetti, piani particolareggiati su significativi pezzi di città, varianti al Piano Regolatore Generale (piano teoricamente operante ma nella pratica mai applicato). Se queste spinte si dovessero realizzare non si riesce a capire cosa poi si possa recepire e pianificare.
Noi continuiamo a pensare che non bisogna innamorarsi di nessuno slogan, a nostro avviso, il futuro di Napoli è in uno sviluppo policentrico e polisettoriale che sia in grado di affrontare le questioni in modo armonico.
Napoli ha bisogno di recuperare il suo gap di sviluppo industriale rispetto alle altre aree metropolitane del Paese ma contemporaneamente ha necessità di dotarsi di strutture di servizi alle persone e alle imprese degni di una città europea e nel contempo non può non valorizzare le sue bellezze ambientali, monumentali e naturali.
Una impostazione di questo tipo, per essere credibile, presume la capacità di individuare i punti focali di un possibile sviluppo armonico dell’area metropolitana.
I principali poli di interesse, oggi a Napoli sono: il Centro Direzionale e l’area Orientale, l’ex area Italsider e l’area occidentale - flegrea ed il Centro Storico.
La bontà dei vari progetti circolanti su Napoli si misura proprio dalla capacità di intervento, non su una di queste aree in base, alle convenienze dei vari potentati, ma su tutti e tre i poli puntando; ad una loro riqualificazione in funzione dell’area metropolitana.
Il Centro Direzionale potrebbe rappresentare il “cavallo di Troia” della spinta a sviluppare ad oriente un processo di nuova edilizia abitativa.
Nonostante costituisca il fiore all’occhiello della modernità esso, secondo noi, tiene in ben poco conto il cittadino ed una reale vivibilità sociale.
Il presunto fabbisogno abitativo non modifica il carattere monocentrico della città, semplicemente ne sposta il baricentro senza risolvere il caos metropolitano determinando, tra l’altro, il definitivo declino, tecnico e sociale, del Centro Storico, per il quale nessun progetto riesce a determinare nuove funzioni d’uso.
Agli sviluppi del Centro Direzionale si collega la questione del futuro dell’Area Orientale: ventidue milioni di metri cubi, di cui sedici residenziali per circa centocinquantamila abitanti, un’area di seicento ettari, pari a sei volte il Centro Direzionale, una volumetria pari a due volte quella di tutti gli interventi di terziario programmati per i prossimi dieci anni a Milano.
Queste sono le dimensioni dell’affare del secolo.
Un consorzio di proprietari di area ha costituito una società di “promozione e di studio per la zona Orientale” con un capitale sociale di cinquanta miliardi.
Vi partecipano fra gli altri l’Agip, cioè l’Eni, la Fiat, l’Ansaldo, cioè l’Iri, la Mobil, il Banco di Napoli, la Mededil.
Il 60% della società però resta saldamente in mano ai costruttori e agli imprenditori napoletani.
Difficile credere che tutti questi soldi e questi personaggi si muovano per nulla: l’affare infatti è valutabile intorno ai 70.000 miliardi. Altro che Piano Regolatore Generale!
Ruolo di grande rilievo per il rilancio e il recupero della zona può giocarlo l’Università ed una capacità “forte” di pianificazione di interventi così come recentemente proposti dal sindacato Filcea e dalla Università in una giusta ottica di intervento a scala metropolitana.
Per il Centro Storico il discorso è più complesso.
L’economista Paolo Savona, della Società di Studi per il Centro Storico, indicò due anni fa in diecimila miliardi l’ordine di grandezza dell’intervento di recupero.
Ma da qui a stabilire cifre operative ce ne corre.
I pareri sulla fattibilità di un risanamento totale sono unanimi: è impossibile!
Ci si limita ad interventi pilota su pezzi importanti del Centro.
La Società Studi Centro Storico ha speso circa tre miliardi per trovare una metodologia d’intervento più che per fare un vero piano di fattibilità, sostituendosi al Comune, latitante su questo problema.
Nella attenta lettura del tessuto urbano e metropolitano appare determinante il senso di isolamento e distacco emergente tra Centro Storico e contesto metropolitano.
Ciò determinerà il declino decisivo ed irreversibile della città.

L’accentramento di servizi e poteri potrà generare altri mostri metropolitani quali la violenza, la disgregazione dei rapporti umani e l’autocrazia di poteri incontrollati, il peggio, cioè, dei mille mali urbani. Se una possibilità esiste per il recupero, il consolidamento delle vocazioni culturali, artistiche, produttive, di studio e di ricerca questa va perseguita con intensità e rapidità. Un indirizzo di intervento fu suggerito dalla ricerca e dal convegnoII futuro ha tremila anniproposto dalla Camera del Lavoro di Napoli nel dicembre 1986, nonostante gli anni trascorsi resta ancora un valido strumento di approccio metodologico che andrebbe ulteriormente approfondito anche in virtù di alcune positive esperienze di recupero che in questi anni abbiamo registrato e che rispecchiano fedelmente le indicazioni suggerite da quella iniziativa (utilizzo di alcune piazze per attività musicali, recupero del teatro Bellini, pedonalizzazione di alcune sue parti, valorizzazione del patrimonio archeologico).
Sull’Area Occidentale prende quota l’iniziativa di riconversione turistico-portuale dell’area dei Campi Flegrei: Pozzuoli, Baia, Miseno e dintorni. A maggior rischio il progetto dell’utilizzo dell’area oggi occupata dalla Italsider per l’insediamento di un Parco Scientifico e Tecnologico, che avrebbe una più naturale collocazione nella zona Orientale.
Prende corpo un grande dibattito sulla necessità di rivedere completamente il Piano Regolatore Generale del 1972, mai attuato, e contemporaneamente vengono spinte a procedere per varianti, per piani e per progetti parziali.
I costruttori sono favorevoli alla politica dell’emergenza perché con procedure abbreviate si arriva al riciclo immediato dei finanziamenti.
Noi insistiamo perché si ritorni ad una politica di piano cioè ad un ripensamento globale del vecchio piano in una scala regionale e metropolitana e non al suo adattamento alle esigenze dei vari gruppi di pressione.
Si apre concretamente a Napoli la possibilità di ridiscutere il futuro della città intervenendo sulle sue tre aree focali.
Le istituzioni, richiamate a compiti programmatori e gestionali di più alto livello dalla Legge 142/90 devono assolvere un ruolo decisivo infatti parte significativa delle aree disponibili (aree dismesse e/o liberate per avvenuta delocalizzazione) sono di proprietà pubblica.
Stato, Regione e Comune possono giocare un grande ruolo pianificatorio se non delegheranno ad altri queste funzioni.
Nel 1993 scadrà la concessione del suolo Agip-Mobil posto nel cuore dell’Area Orientale e non verrà prorogata.
Decine di migliaia di metri quadri di terreno, ai confini del Centro Direzionale, si libereranno ed attenderanno una nuova collocazione d’uso.
La decisione presa è giusta; c’è voluto lo scoppio dei serbatoi dell’Agip alla vigilia di Natale di quattro anni fa, una calamità industriale come fu definita, a spingere l’amministrazione ad adottare tale provvedimento
La decisione però è parziale e incompleta.
I rischi gravi provocati da incidenti industriali per la raffinazione e per il trasporto di prodotti petroliferi dovranno trovare una nuova localizzazione.
Come si andrà alla ridefinizione d’uso di quest’area e con quali strumenti e progetti?
Le decisioni in quale luogo si formeranno? E con quali coinvolgimenti sociali?
Superato ormai l'unico strumento urbanistico a disposizione, il vecchio Piano Regolatore, il suo riaggiornamento sarà dimensionato ad una scala regionale e metropolitana?
A chi verrà affidato il compito di riaggiornare il piano, ammesso che non sia già stato fatto attraverso quei canali sotterranei lungo i quali spesso Napoli naviga e governa?
Il Comune, la Provincia, la Regione quale ruolo assumeranno nel contesto della legge di riforma delle Autonomie Locali?
Quale sarà il ruolo della grande impresa pubblica e privata?
Questi sono gli interrogativi che l’amministrazione non ha ancora sciolto.
Noi crediamo comunque, che l’occasione che si presenta non debba essere sciupata come altre volte è accaduto.
Esiste per le forze del cambiamento la possibilità di proporsi come protagoniste di una nuova fase che si apre a Napoli e che dovrà vedere la città attestarsi su un livello più alto della sua qualità urbana.
È una opportunità da cogliere, sapendo che ciò che si deciderà su questa città sarà soprattutto bisogno di vita civile, di ambiente, di qualità del vivere collettivo, bisogno grande di lavoro.

Gianni de Falco Vincenzo Esposito

Enne n. 49, 3 febbraio 1991 e Enne n. 51. 17 febbraio 1991

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