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Il giudice che ha scritto la sentenza della “bravata” pubblicò un libro illuminante sul sottobosco romano di destra, ultras e droga che aiuta a capire quello che è successo

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Kowalski-Callaghan

Sull’omicidio di Ciro Esposito, Clint Eastwood-Walt Kowalski ha torto. Ha invece ragione Clint Eastwood-Harry Callaghan, la Giustizia non si incontra con la legge

L’ispettore Harry Callaghan è il “duro” per eccellenza che combatte la criminalità al di fuori della Legge con metodi spesso poco ortodossi e per questo è soprannominato “Harry la carogna”.

Per quelli della mia generazione, che hanno conosciuto le stragi di Stato, la strategia della tensione, la repressione di Stato, il “porto delle nebbie” – appellativo della Procura della Repubblica di Roma, a causa di una serie di episodi poco chiari e mai chiariti, veri e propri insabbiamenti – l’ispettore era un mito, l’affermazione della giustizia con qualsiasi mezzo anche contro un uso distorto della legge.

Il finale di “Gran Torino”

Nella scena finale del magistrale “Gran Torino”, diretto da Clint Eastwood, il protagonista principale, Walt Kowalski, affronta i giovani criminali tutti ben armati e asserragliati in casa che hanno ferito il suo vicino Thao e violentato la sorella Sue. Quando infila la mano sotto la giacca, come a voler prendere un’arma, i teppisti gli sparano e lo uccidono; in tasca aveva solo il suo accendino. Gli assassini vengono finalmente arrestati, e Thao e la sua famiglia trovano un po’ di serenità e la possibilità di guardare con più fiducia al futuro.
Con questa scena, Clint Eastwood chiude i conti con Harry Callaghan: Walt Kowalski si fa uccidere deliberatamente – mimando la posa classica dell’ispettore Callaghan – per fare in modo che la possibile spirale di ritorsioni si fermi grazie alla giustizia ottenuta tramite la legge.
Orbene Kowalski ha torto, la Legge troverà sempre un modo per ripristinare l’ingiustizia, l’omicidio di Ciro Esposito è lì a dimostrarlo: trovato un giudice a Berlino (Eugenio Albamonte) che ricongiunge Giustizia e Legge ci sarà sempre un altro giudice a Roma che metterà a posto le cose ripristinando l’impunità per chi opera nella zona grigia dei rapporti tra malavita organizzata, servizi deviati, pezzi dell’apparato statale e forze eversive neofasciste.

Suburra descrive perfettamente il mondo di Daniele De Santis

suburra pDurante la lunga agonia di Ciro Esposito ebbi modo di leggere un romanzo che mi colpì molto perché inquadrava perfettamente il contesto romano nel quale agiva Gastone Daniele De Santis – l’omicida di Ciro Esposito –, fotografava perfettamente la contiguità tra neofascismo, ultras e traffico di droga e corrispondeva esattamente con le notizie raccolte in un paziente lavoro di informazione fatto per smontare la narrazione tossica che si stava producendo. Il testo che mi svelò il mondo di De Santis, “Suburra” è un romanzo italiano del 2013 scritto da Giancarlo De Cataldo e Carlo Bonini sulla mafia romana negli anni moderni.
Mi meraviglia che nella stesura delle motivazioni della sentenza di secondo grado il giudice De Cataldo lo abbia dimenticato.
La sentenza di secondo grado ribalta la ricostruzione dei fatti della sentenza di primo grado e, nei fatti, cancella prove, video e testimonianze portate dal Pubblico Ministero Eugenio Albamonte a supporto delle sue richieste (Guido Ruotolo, Omicidio Ciro Esposito, la sentenza che ha derubricato l’agguato a bravata).
In questa sede è giusto ricordare quanto scritto dai giudici a supporto della sentenza su Gastone: “Egli, secondo la dinamica dei fatti – scrivono ancora i giudici – preordina in concorso con altri soggetti, un vero e proprio agguato e non solo si premunisce di bombe carta, ma anche di una pistola che porta appresso carica e con il colpo in canna, perché lo sviluppo e la progressione dell’agguato progettato è tale per cui egli prevede che possa determinarsi una situazione per cui debba sparare”.

Tralasciamo l’enormità del termine “bravata”

Non entrerò nel merito dell’enormità dell’uso del termine “bravata” nelle motivazioni della sentenza, per questo rimando alla lettura di Giovanni Bianconi (Le violenze dei tifosi: fenomeno da stroncare, non una «bravata», Corriere della Sera, 10 settembre 2017) e Vittorio Del Tufo (La sentenza di Ciro e i nostri luoghi oscuri, Il Mattino, 11 settembre 2017) mi limiterò a ricordare alcuni fatti che ci riportano alle tre domande che abbiamo sempre posto e che non hanno mai ricevuto risposta: chi è De Santis? Chi lo protegge e perché?
Ho sempre pensato che l’omicidio di Ciro Esposito sia stato un incidente di percorso in un progetto lucido eversivo maturato in quegli ambienti borderline tra servizi deviati, delinquenza e fascisti che De Cataldo ha ben delineato come scrittore in Suburra e dimenticato come giudice.
L’assalto all’autobus di tifosi napoletani proveniente a Milano – comprovato in primo grado da filmati e decine di testimonianze, altro che “suggestione di massa” – aveva, a mio avviso, come obiettivo lo Stadio Olimpico: doveva arrivare la notizia che un autobus di donne e bambini era stato assalito da tifosi fiorentini per creare un caos ingestibile con violenze e scontri alla presenza di Renzi e Grasso. L’intervento di Ciro e altri tifosi – l’altro Esposito non è suo cugino come si continua a scrivere – ha creato uno scenario diverso e per Ciro tragico.

Invito De Cataldo a leggere la biografia di de Santis

Della banda di De Santis – invito De Cataldo a leggersi la sua biografia di ultras romanista e neofascista nonché l’album delle sue “bravate” a partire dai fatti di Brescia fino a quelli di Roma e interrogarsi sull’origine del soprannome Gastone – facevano parte almeno altre quattro persone, regolarmente identificate e mai processate e di cui non si è mai venuto a conoscenza dell’identità.
In sede di incidente probatorio viene refertato un pugnale con macchie di sangue rilevate al “luminor” sul manico riconducibili a De Santis, non refertato sulla scena del delitto, consegnato da un anonimo agente che lo ha ritrovato successivamente e lo ha consegnato e riconducibile secondo la difesa ai tifosi napoletani.
In ultimo le coltellate refertate dopo il ricovero al Gemelli, a detta del medico che ha provveduto ai soccorsi a De Santis, l’assassino di Ciro Esposito, non erano presenti all’atto del ricovero.

Perché Gastone non ha fatto un giorno di carcere?

Durante tutto l’iter processuale abbiamo assistito all’esposizione di una gamba che nelle foto postate da De Santis – scattate non si sa da chi e come, visto che era sottoposto a custodia cautelare – funzionava e nelle audizioni era in condizioni gravi. Inoltre perché Gastone non ha mai fatto un giorno di carcere?
Infine, le prime notizie sui fatti di Tor di Quinto parlavano di un presunto camorrista, Ciro Esposito, coinvolto in una rapina. Quando Ciro è stato ricoverato aveva con sé la carta di identità, essendo persona nota alle forze dell’ordine perché titolare di un autolavaggio che serviva il commissariato di Scampia, com’è che le forze dell’ordine non lo sapevano?
Purtroppo fino a quando nessuno risponderà alle domande poste all’inizio di questa drammatica vicenda: chi è Daniele De Santis? chi lo difende e perché? Kowalski avrà torto.
Nell’omicidio di Ciro Esposito sembra che la legge non darà alla famiglia Esposito un “po’ di serenità e la possibilità di guardare con più fiducia al futuro” con un atto che riconcili la giustizia con la legge consentendo anche alla Famiglia Esposito di congedandosi – come Walt Kowalski – da “Dirty Harry”.

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