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sin 80 pIntervista a Giuseppe Zollo, ri­cercatore presso il Politecnico di Napoli, a cura di Vincenzo Esposito segretario della Fiom Campania

Esposito: Quando si parla di Napoli, in genere si ricercano i luoghi comuni e i confronti ecla­tanti: Mexico City, Calcutta, New York. Dall’osservatorio pri­vilegiato di studioso dei proces­si di innovazione, qual è la tua lettura della realtà napoletana? 

Zollo: La mia impressione, al­lorché si parla di problemi rela­tivi alle potenzialità innovative della realtà napoletana, è che spesso si fa riferimento a una situazione statica. Il rapporto sviluppo/sottosviluppo, o meglio avanzamento/arretramento, vie­ne visto come semplice raggiun­gimento di un dato livello tec­nologico, occupazionale, indu­striale.

Questo approccio rischia di falsare la realtà. Io introdur­rei, come indicatore della tra­sformazione e del cambiamento, il parametro della velocità. Se si introduce il concetto di velocità delle trasformazioni, risulta ina­deguato leggere lo sviluppo di una determinata realtà socio­economica solo come il raggiun­gimento di determinate soglie quantitative. Lo sviluppo, secon­do me, va visto come capacità endogena di trasformazione. Da questo punto di vista dina­mico mi accorgo che, indipen­dentemente dai livelli occupazio­nali e di industrializzazione rag­giunti, Napoli ha una capacità complessiva di trasformazione molto bassa.
Più aumenta la differenza di ve­locità tra la nostra realtà e le aree avanzate del Paese, più au­menta il distacco. 

Esposito: Eppure Napoli è ric­ca di potenzialità. Quali sono i fattori che determinano velo­cità e direzione del cambia­mento?

Zollo: Il problema vero non è se esistono le potenzialità, ma se è attivabile un meccanismo che possa trasformare le potenziali­tà in attualità. Io vedo questo meccanismo come una rete di supporto, formata da elementi che attuano tra loro scambi fun­zionali, cooperativi e convergen­ti. E quando parlo degli elemen­ti, mi riferisco alle diverse parti della realtà industriale, sociale, culturale in grado di tradurre le potenzialità di un sistema inter­relato funzionante a un certo rit­mo e a una certa velocità. Per fare degli esempi banali: si afferma che Napoli ha grosse potenzialità turistiche non sfrut­tabili a causa dell’inadeguatez­za della rete alberghiera, che ha grosse potenzialità paesaggistiche ma è una delle città più inqui­nate d’Italia.

Esposito: Quando si cerca di ca­pire il perché di queste contrad­dizioni si rimanda il discorso a una serie di indici di sottosvi­luppo, a difficoltà di integrazio­ne degli elementi positivi in un ambiente ostile.

Zollo: La mia impressione, quando guardo a queste cose, è che ogni elemento si muove a se stante, e la rete di supporto è quindi inesistente.

Esposito: A me continua a col­pire la compresenza su ogni sin­golo aspetto degli estremi posi­tivi e negativi.
Nonostante il degrado e l’ostili­tà dell’ambiente esterno alla for­mazione di una moderna bor­ghesia imprenditoriale, nella no­stra realtà agiscono imprendito­ri come D’Amato, i De Feo, Va­lentino.
Ma perché si realizza questa in­capacità d’integrazione e di dif­fusione degli aspetti positivi? Dagli elementi di analisi in tuo possesso prevedi che le punte avanzate riusciranno a emerge­re in controtendenza al degrado strutturale?

Per sopravvivere l’innovazione ha bisogno di una adeguata rete di supporto

 Zollo: Così come una tecnolo­gia immessa in un’organizzazio­ne incapace di recepirla e gestirla non riesce a funzionare, anche le punte avanzate difficilmente riescono a sopravvivere per lun­go tempo se non sono in grado di trasmettere al sistema com­plessivo elementi di trasforma­zione.
L’automobile è potenzialmente un mezzo di trasporto efficace, ma riesce ad esprimere le sue ca­ratteristiche di comodità, celeri­tà e flessibilità perché c’è una rete di supporto formata da stra­de, autostrade, regolamenti stra­dali, vigili, impianti di semafo­rizzazione e di distribuzione del carburante, che, se mancassero, farebbero sì che l’automobile sa­rebbe meglio sostituita dal ca­vallo. L’innovazione funziona come l’automobile: per poter di­spiegare a pieno le sue capacità ha bisogno di una rete di sup­porto che gli permetta di soprav­vivere e di imporsi, irradiando gli effetti positivi contenuti nel­la potenzialità. Prima tu facevi riferimento ad alcuni elementi di punta nel sistema industriale na­poletano.
Ma se fissiamo la nostra atten­zione sulla rete di supporto che ha permesso loro di esprimersi, emerge che essa è stata costrui­ta con grossi sforzi soggettivi, è estremamente fragile, non è se­dimentata a livello di organiz­zazione e di comportamenti complessivi, per cui è facilmente eliminabile dagli agenti economi­ci e politici esterni. Ho molti dubbi sulla loro pos­sibilità di sopravvivenza, perché il problema reale non è solo co­struire una rete di supporto, ma soprattutto quello di mantener­la per poter alimentare le tra­sformazioni.

Esposito: Quindi tu affermi che, se nulla muta, anche gli elementi di trasformazione saranno assor­biti.

Zollo: Il pericolo maggiore non è l’aumento del degrado, ma il determinarsi di una situazione nella quale ciclicamente scom­paiono e ricompaiono elementi di novità, senza che complessi­vamente si avvii il meccanismo che può trasformare le eccezio­ni in norma. Il problema è strut­turare un sistema di relazioni che consenta ai punti focali di ave­re una velocità maggiore e quin­di di dare prestazioni migliori, favorendo l’emergere di altre ec­cezioni.

Esposito: In questo contesto, il pullulare di iniziative che lascia­no prefigurare un interesse del grande capitale per Napoli sono solo un modo per utilizzare i fondi per il Mezzogiorno, oppu­re possono costituire un elemen­to di dinamismo? La Fiat che acquisisce l’Alfa, che promuove iniziative con l’Ibm nei beni cul­turali, che si impegna nella infrastrutturazione turistica, non ha la necessità di costruire il si­stema di interrelazione di cui parlavi? Può il grande capitale, supplendo alla mancanza di una vera borghesia industriale e di una burocrazia pubblica efficien­te, essere l’elemento di innova­zione in grado di liberare le energie e le potenzialità di Na­poli?

Zollo: Che soggetti imprendito­riali come la Fiat e l’Olivetti sia­no soggetti di trasformazione è senz’altro vero. Ma il problema dello sviluppo di Napoli non è che i soggetti in gioco abbiano delle proprie dinamiche, ma che queste siano convergenti. Un sistema nel quale ogni soggetto ha un comportamento dinamico che risponde però a una logica extraterritoriale può, con molte probabilità, portare a un’ulterio­re distruzione dei legami che ten­gono insieme il sistema stesso. Se ogni soggetto ha una dina­mica che si muove su un qua­dro più ampio dell’ambito loca­le, difficilmente riuscirà a tro­vare le necessarie sinergie.

Sviluppo monocentrico, o modelli multidimensionali?

 Esposito: Riferendoci a polemi­che attuali, ritieni compatibile il pieno dispiegarsi della vocazio­ne turistica dell’area flegrea con gli impianti industriali preesi­stenti?

Zollo: Ritengo compatibile lo sviluppo turistico con alti tassi di occupazione industriale. Le visioni alternative molto in vo­ga in questo periodo mi sembra­no più un gioco delle parti, fi­nalizzato a mettere a fuoco stra­tegie di particolari soggetti. Non riesco a capire perché a Na­poli non si possano attuare mo­delli multidimensionali di svilup­po, e, invece tutto deve essere finalizzato a uno sviluppo mo­nocentrico nel quale l’industria è alternativa al terziario. È chia­ro che il dispiegarsi di attività terziarie è in contraddizione con lo sviluppo di attività inquinan­ti, ma non è detto che sia in al­ternativa con l’industrializzazio­ne in quanto tale. È ovvio che c’è un problema di gestione del territorio, perché non è possibi­le accentrare tutte le attività in un solo luogo.

Esposito: Tu proponi di misu­rarsi fino in fondo con i pro­cessi di razionalizzazione, allocando nell’area metropolitana solo attività compatibili con uno sviluppo policentrico, anche se questo può significare dover af­frontare questioni di riallocazio­ne industriale fuori dell’area me­tropolitana?

Zollo: Il problema della pianifi­cazione urbanistica a Napoli non è quello di definire grandi piani a tavolino. Penso di più a un lavoro di tipo artigianale, andan­do a vedere le specificità dei sin­goli casi, collegandoli armonica­mente tra di loro e nel tempo. Non mi convince molto un’esa­sperata semplificazione dei pro­blemi, per cui si sostiene che la terziarizzazione presuma la can­cellazione delle potenzialità che lo sviluppo industriale può an­cora esprimere. Continuo a pen­sare che uno sviluppo duraturo può essere dato solo da una si­tuazione di crescita di più fat­tori e comportamenti. Semplifi­care modelli complessi cercando soluzioni banali è funzionale so­lo a un’ottica dirigistica e auto­ritaria. Quello che mi sentirei di suggerire a forze sociali come il sindacato è di non innamorarsi degli slogan. Dietro a semplifi­cazioni come terziarizzazione o industrializzazione si nasconde un appiattimento della realtà, che contribuisce a distruggere le potenzialità.

II sindacato deve attivare un meccanismo di autoapprendimento e formazione

 Esposito: Tu sostieni che in que­sto scenario è probabile che gli elementi di degrado metaboliz­zino le punte innovative. Esisto­no, a tuo avviso, soggetti socia­li in grado di costituire una con­trotendenza? Su quali terreni de­ve cimentarsi il sindacato per praticare una ipotesi realistica di sviluppo?

Zollo: La domanda è comples­sa, e può avere solo risposte em­piriche. Come conseguenza del­la trasformazione del lavoro e della realtà sociale, sono mutati anche i soggetti, ma siamo an­cora in una fase di cambiamen­ti differenziati e contraddittori per cui non appaiono, in modo chiaro, nuove aggregazioni di soggetti. Così come i soggetti so­ciali stanno iniziando a cercare empiricamente una loro identi­tà, anche il sindacato deve, sgombrando l’analisi da una se­rie di preconcetti, sperimentare i rapporti con i nuovi soggetti sociali. Sperimentare, però, si­gnifica preventivare fallimenti e parziali successi, costruendo, an­che sugli errori, una pratica di autoapprendimento.
È indispensabile anche sviluppa­re nuovi rapporti con le tradi­zionali fasce sociali, che nel frat­tempo si sono trasformate co­me entità produttive e culturali. Il sindacato può assumere un ruolo importante solo se riesce ad attivare un meccanismo di autoapprendimento e formazione, imparando dalla realtà che si va trasformando, e cambian­do in sintonia con essa.
Se vice­versa il sindacato si ancora a una serie di principi e ipotesi di base, cercando di definire a prio­ri soggetti e tendenze, a mio av­viso, si porranno grossi proble­mi per il suo futuro.
Così come quando iniziarono le prime in­chieste operaie sull’operaio di massa non si capiva chi era que­sto nuovo soggetto, né come avrebbe egemonizzato il proces­so di trasformazione del lavoro, in questa fase non è possibile in­dividuare con chiarezza come e chi si propone egemone nei nuo­vi processi.

Esposito: Penso che bisognereb­be avere il coraggio di passare da una contrattazione delle po­litiche generali sull’occupazione, il Mezzogiorno e Napoli a una fase di contrattazione del ‘particolare’, scegliendo aziende e at­tività che per le loro caratteri­stiche di novità e incisività po­trebbero essere propulsori di cambiamento.

Zollo: Questa è certamente una via da sperimentare. È utile co­struire rapporti contrattuali con imprese che possono funzionare da elementi di punta nel proces­so di trasformazione della real­tà, e quindi effettivamente met­tere un po’ da parte le grandi questioni generali che hanno da­to scarsi risultati.

Esposito: Passando al sindaca­lismo industriale napoletano che, a me sembra, nel passato ha pri­vilegiato alcune grandi aziende del vecchio ciclo industriale, so­stanzialmente l’acciaio e l’auto, penso che oggi, per rilanciare un suo protagonismo forse esso do­vrebbe focalizzare la sua atten­zione su aziende che per le loro caratteristiche intrinseche di di­namicità e tipo di presenza sul mercato possano irradiare influs­si positivi sull’ambiente esterno.
Per estremizzare, condividi l’i­dea che per costruire uno svi­luppo duraturo nella nostra re­gione forse è più utile vertica­lizzare il ciclo del software piut­tosto che quello dell’acciaio? Cioè privilegiare le realtà più si­gnificative all’innescarsi nel mec­canismo di formazione di un hu­mus tecnologico?

Zollo: È possibile generalizzare quello che tu dicevi. Nelle fasi di trasformazioni le singolarità e le particolarità acquistano più senso delle grandi masse come spie di trasformazione. Le real­tà piccole sono più reattive ai cambiamenti ambientali. Se si riesce a esaltare i rapporti con queste singolarità è possibile trarne elementi che possono es­sere utilizzati anche nei rappor­ti con le grandi realtà. La gran­de impresa, d’altra parte, se ac­quisisce i presupposti della tra­sformazione è capace di avere effetti dirompenti sulla realtà.
Questa è una strategia d’azione che ritengo significativa.

[Sinistra ‘80 n. 7-8-9, novembre 1987 - gennaio 1988]